“È legge dell’universo che non si può far la nostra felicità senza fare anche quella degli altri”.
A. Genovesi
Questa parte del sito vuole dare spazio ad un approfondimento sull’economia civile quale prospettiva culturale su tutto il mondo economico. Essa si presenta come un programma di riforma da attuare contro un’economia che esclude, un’economia dello scarto. Infatti, come è solito affermare Luigino Bruni, l’economia o è civile o è incivile: ed è incivile quando penalizza, sfrutta e distrugge la vita comune. Al contrario, l’economia civile è inclusiva e persegue il bene comune poiché si basa su una categoria fondamentale che è quella della relazione, da cui derivano alcuni dei principali concetti che costellano questa dimensione e che sono tra loro interdipendenti: bene comune, felicità, reciprocità, gratuità.
Come già evidenziava Aristotele, la peculiarità dell’essere umano è la relazionalità: “Senza amici, nessuno sceglierebbe di vivere, anche se possedesse tutti gli altri beni”. Vi è, dunque, uno stretto legame tra felicità e relazioni interpersonali e la felicità riveste un ruolo chiave anche in economia dove non è legata esclusivamente al reddito. Questo risulta essere avvalorato dalla maggioranza delle ricerche sociologiche odierne che dimostrano come il denaro non sia l’elemento determinante la felicità e che spesso la percezione di essa è influenzata dal confronto con l’ambiente circostante.
Nel 1974 l’economista americano Richard Easterlin ha pubblicato un celebre articolo in cui sottolineava che, seppure il reddito medio per abitante avesse avuto nel suo paese una crescita straordinaria del 60% tra il 1945 e il 1970, la proporzione delle persone che si dichiaravano felici non era variata. Questo studio è presto divenuto noto come “paradosso della felicità” per indicare il legame debole tra reddito e felicità: nei Paesi che hanno già raggiunto una certa soglia di ricchezza e in cui i bisogni ordinari della vita trovano facile soddisfazione, l’aumento del reddito non si traduce in un aumento del benessere della popolazione, diversamente da quanto sostenuto nell’ambito dell’economia classica.
Il legame tra felicità e pubbliche relazioni lo troviamo in uno dei maggiori punti di riferimento per i teorici dell’economia civile, Antonio Genovesi (1712-1769). Nel 1753 viene istituita a Napoli la prima cattedra di economia affidata proprio a Genovesi, autore di “lezioni di economia civile” in cui analizza il legame che sussiste tra felicità ed economia intesa proprio come scienza della pubblica felicità. “È legge dell’universo – scrive Genovesi – che non si può far la nostra felicità senza fare anche quella degli altri”.
L’Economia di Comunione nasce da un’intuizione di Chiara Lubich (1920-2008), fondatrice del Movimento dei Focolari, dopo un viaggio effettuato in Brasile nel 1991 durante il quale rimase scandalizzata da una povertà disumana. Con questo progetto si poneva l’obiettivo di umanizzare l’economia attraverso la creazione di imprese i cui utili fossero messi in comune e distribuiti in favore dei poveri, creare strutture deputate alla formazione di “uomini nuovi” capaci di diffondere questo progetto e sollecitare lo sviluppo d’impresa.
L’Economia di Comunione, avendo alla propria base il concetto di persona (in contrapposizione a quello di individuo) rifiuta il paradigma dell’assistenzialismo e promuove invece la cultura del dono. Si basa sul superamento della contrapposizione tra il momento della produzione e il momento della distribuzione della ricchezza e sulla trasformazione dello stile di vita aziendale nella sua interezza, sostenendo un concetto di lavoro come ambito costitutivo dell’uomo in cui la persona possa realizzarsi.